di Sante Maurizi *
«Scrivo musica per gli esseri umani, in modo deciso e diretto. Prendo in considerazione le loro voci: l’estensione, la potenza, la sottigliezza e le potenzialità di colore. Esamino gli strumenti che essi suonano: le loro sonorità più espressive e più adatte. Se ho inventato uno strumento (ad esempio le tazze da tè a percussione di Noye’s Fludde), l’ho fatto avendo in mente il piacere che i giovani esecutori ne avrebbero potuto ricavare. Autori come Johann Strauss e George Gershwin vogliono fornire alla gente – al popolo – le canzonette migliori e ballabili che sanno creare. Non riesco proprio a trovare niente di sbagliato nell’obiettivo, dichiarato o implicito, di questi autori. Lo stesso vale per me quando offro in modo diretto e intenzionale ai miei simili musica che possa commuoverli o divertirli, o perfino educarli. Al contrario è un dovere del compositore, come membro della società, di parlare a - e per i propri simili». In questo brano del discorso di accettazione per il premio Aspen assegnatogli nel 1964, Benjamin Britten (1913-1976) riassumeva le ragioni della propria vocazione musicale: parlare agli esseri umani e per gli esseri umani, senza paura di suscitare piacere o (persino!) educare. In fiera e costante contrapposizione al repertorio elitario del ’900, questo era per lui la musica, quintessenza di un umanesimo integrale. Se è comunemente accettato che Britten sia stato il maggior compositore inglese dai tempi di Henry Purcell, meno evidente, almeno per noi “latini”, è la sua fama di grandissimo didatta, impegnato non solo nella formazione di giovani artisti ma nella diffusione della cultura musicale per tutti, a partire dalla più tenera età. Il festival di Aldeburgh, da lui fondato nel 1948, ha riunito musicisti leggendari come Menuhin, Richter e Rostropovich, ma conserva tuttora le caratteristiche di centro propulsore di un'infinità di iniziative e progetti educativi. Proprio ad Aldeburgh, minuscolo paese sulla costa orientale inglese, andava in scena nell'estate 1958 Noye's Fludde (quello che in inglese antico è “Il diluvio” noi traduciamo come “L’arca di Noè”). Durante il medioevo il racconto biblico era stato rappresentato nella forma dei “miracle” e dei “mystery plays”, interpretati in genere dai membri delle corporazioni artigiane delle città nei giorni di festa nelle piazze e nei luoghi di mercato: drammatizzazioni utili a sostenere i sermoni e l'arte figurativa nell'ammaestrare il popolo analfabeta, per il quale i testi sacri erano inaccessibili. Uno di questi drammi, appunto il Fludde, divenne la fonte del lavoro di Britten assieme a inni tratti dal repertorio sacro anglicano: vicenda biblica, sua trasposizione in versi e melodie profondamente radicati nell’animo popolare inglese. L'opera, pensata per essere rappresentata in chiesa, prevede l’accostamento di musicisti e cantanti professionisti accanto a un folto organico di giovani strumentisti e voci di bambini e ragazzi. Il pubblico è invitato a unirsi ai cori nell’esecuzione degli inni, proprio come in una cerimonia religiosa: il conflitto fra la purezza d’animo e la corruzione della società è una costante dell’opera di Britten, e la partecipazione del pubblico nell'esecuzione del Fludde ha quasi una funzione catartica. Come scrive Heather Wiebe in “Britten's Unquiet Pasts” l'opera «conduce gli spettatori lungo una narrazione di pericolo e distruzione, ma il risultato finale è il rinnovamento, la promessa di continuità, la pace, e il sentirsi comunità». Comunità: da una parte e dall'altra del palcoscenico. Diversi elementi contribuiscono a rendere possibile un tale azzardo: lo stesso, imponente, assortimento delle percussioni contribuisce a rendere “vicina” la musica; come quella strana fila di tazze percosse da cucchiai di legno per rappresentare la pioggia. Come un gioco, appunto: niente di più domestico e legato alla memoria di chi è o è stato bambino. Nei paesi anglofoni, in poco più di mezzo secolo assistere o partecipare al Fludde è stata ed è la prima occasione di approccio al teatro musicale. Ma non è un’opera “per bambini” come tante che sono state scritte: è l’utopia realizzata di un mondo dove tutti e paritariamente – piccoli e grandi, in scena e in platea – sono chiamati a costruire un tempo migliore. In ciò vicino a quanto Brecht demoliva circa la contrapposizione tra impegno e gioco: «Il teatro rimane teatro anche se insegna; e nella misura in cui rimane teatro, è anche divertente».
* Sante Maurizi è il regista dello spettacolo “L’arca di Noè” che va in scena stasera al Comunale di Sassari per il cartellone della stagione dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis”.
Un'opera per ragazzi, ma soprattutto fatta dai ragazzi: ecco cosa aveva ideato Benjamin Britten, compositore inglese, quando scrisse Noye's fludde. L'arca di Noè solca per la prima...
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