«Un´opera Settecentesca ma dai valori moderni»

12 NOVEMBRE 09

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Intervista con il regista Francesco Bellotto

Per il Teatro Verdi di Sassari rappresenta una vera e propria novità, anche perché si tratta di una prima esecuzione nelle stagioni liriche dell´Ente Concerti "Marialisa de Carolis". Si tratta della Cecchina, ossia la buona figliola, dramma giocoso in tre atti di Carlo Goldoni musicato da Niccolò Piccinni. L´opera debuttò il 6 febbraio 1760 al Teatro delle Dame di Roma con un grandioso successo, tanto da mutare la storia stessa dell´opera italiana.

Quella che va in scena sul palco del Verdi è la versione del 1760, ma con alcune modifiche che il regista della produzione, Francesco Bellotto, ha voluto apportare per avvicinare l´opera al pubblico. Al regista, musicologo, nonché direttore artistico del Teatro Donizetti di Bergamo abbiamo chiesto di illustrare l´opera e spiegare il perché delle scelte adottate.

- L´opera di Goldoni musicata da Piccinni ha una sua tipologia, ce la può spiegare?

La Cecchina ossia la buona figliola ha un posto molto particolare nella storia dell´opera perché rappresenta uno dei primi grandi successi di "repertorio", cioè un´opera che, contrariamente all´uso del tempo, viene replicata tante volte in tante piazze diverse. Grandissimo successo perché dal nuovo pubblico pagante, quindi largamente borghese o di buona nobiltà, questa storia viene identificata come particolarmente interessante e capace di commuovere. Il genere a cui dà vita è il primo esempio consapevole, o perlomeno conclamato, di opera che diventa di "genere semiserio", cioè che si situa in una posizione di mezzo carattere tra l´opera seria e quella buffa. Generi ambedue molto codificati e anche, in qualche modo, già sclerotizzati nell´epoca in cui La Cecchina va in scena. È in un certo senso una commedia musicale che permette di unire l´elemento comico, quindi l´azione, gli inganni, il movimento, la mutevolezza dei personaggi, alla capacità di destare sentimenti elevati che era tipico dell´opera seria. Quindi i personaggi principali di quest´opera sono anche proprietari di arie patetiche, cosa che non avveniva mai per il genere buffo e comico. La Cecchina, tratta dalla Pamela di Richardson, sancisce di fatto l´ingresso dei soggetti romanzeschi di derivazione inglese nell´opera italiana.

- In qualità di regista qual è il taglio che ha voluto dare all´opera?

Prima di tutto ho studiato molto attentamente le qualità e la tipologia della scrittura goldoniana. Questo libretto ha un linguaggio assolutamente moderno, comprensibile e avulso dai tipici raggiri, inganni e sotterfugi come ad esempio in Le nozze di Figaro di Beaumarchais, che è, nel nostro immaginario, la tipica commedia settecentesca in cui i paggi si nascondono, saltano dalla finestra e i travestimenti sono doppi e tripli. Ne La Cecchina siamo in un ambito completamente diverso. Il linguaggio di Goldoni mi ha suggerito di trasportare la vicenda in un ambiente che fosse per noi figurativamente più riconoscibile. Ciò che conta è che il gioco fra il Marchese e la Cecchina è un gioco di educazione sentimentale, quella di un personaggio ricco, nobile, noioso e annoiato, una specie di Almaviva quasi prepotente, che accoglie pienamente l´idea di poter amare una donna umilissima come la giardiniera Cecchina. Mi sono chiesto quale fosse il mondo più vicino a noi per collocare questa vicenda ed ho pensato che l´ultima generazione a noi nota era quella degli anni che anticipano la Seconda Guerra mondiale. Quel tipo di valori che sono rappresentati nel libretto di Goldoni perdurano per quasi duecento anni, fino a quella generazione. Ho pensato che spostandolo in quel clima i rapporti diventassero più chiari, anche visivamente per noi spettatori che abbiamo un po´ dimenticato sia quest´opera sia questo tipo di gerarchie sociali, che ci sono ricordate oggi anche grazie alla cinematografia. Questi drammi semiseri, in cui ci sono bambini abbandonati poi ritrovati, prima creduti dei miserabili quindi riscoperti dei nobili, li troviamo nel mondo del cinema dei primi due decenni del Novecento. Charlie Chaplin, se pensiamo, racconta esattamente quel tipo di storie semiserie in cui c´è la risata da una parte ma anche la capacità di commuovere. Ho immaginato che tutto si svolgesse attorno ai possedimenti del Marchese della Conchiglia, che ho trasformato in un piccolo film maker, in un ambiente occidentale dei primi del Novecento, con tutto il corredo di cose che quest´ambiente poteva comportare.

- Questa trasposizione dell´opera ai primi anni del Novecento può essere un´operazione rischiosa?

Sì ovviamente. Solitamente sono per il rispetto di tutti i segni che gli autori ci hanno lasciato. Mi è capitato pochissime volte di spostare d´epoca l´ambientazione prevista dal libretto perché non lo ritenevo necessario, mentre in questo caso trattandosi di un´opera, come dire, non di repertorio, ma ricca di valori che secondo me oggi il pubblico rischia di vedere smarriti, ho tentato di agganciarla alla sensibilità moderna. Era importante far capire l´altezza della descrizione psicologica, cosa che difficilmente sarei riuscito a fare utilizzando un apparato un po´ distante come quello dell´ambientazione in costume settecentesco.

- Perché la scelta di accorpare gli atti, passando da tre a due?

È stato deciso un taglio drammaturgicamente più coerente che sacrifica solo qualcuna delle arie presenti nell´originale, in particolare nel secondo e terzo atto. L´opera ne risulta snellita per i gusti di oggi e valorizza al meglio le caratteristiche dei singoli personaggi che ne escono ben delineati senza inutili ripetizioni.

- Questa è una delle poche opere del Settecento che ha fortuna, a cosa è dovuto?

Credo per la capacità di far sorridere e allo stesso tempo di far commuovere, cosa scontata oggi, per esempio, per chi va al cinema. Nel Settecento questa immedesimazione era quasi vietata nell´opera seria, che parlava di personaggi eroici e divinità e i sentimenti erano descritti attraverso un apparato retorico. Qui se si parla di sofferenza è vera sofferenza, quando si parla di una ragazza abbandonata è veramente una ragazza abbandonata e maltrattata da tutti, in balia di se stessa. Era veramente una serva riconosciuta dal pubblico del suo tempo, come può essere riconosciuta anche dagli spettatori di oggi.

- Come giudica la qualità della musica?

Di valore straordinario. Gli assiemi solitamente collocati a fine d´atto, soprattutto nel primo e nel secondo, sono dei veri e propri capolavori di scrittura teatrale trasposta in musica. Alcuni episodi addirittura anticipano le cose migliori di Mozart, ad esempio la cosiddetta "aria del sonno", in cui si descrive con una straordinaria e sognante orchestrazione il passaggio di Cecchina dalla veglia al sonno. A queste si aggiungano le grandi arie d´opera seria del Cavaliere Armidoro, ruolo affidato ad una voce di soprano come tipico retaggio dell´uso dei castrati nell´opera seria settecentesca, che sono di una eleganza formale ineccepibile.

(Andrea Bazzoni)

L'opera

Cecchina o la buona figliola

Cecchina o la buona figliola

Esordisce a Sassari - negli annali sardi si registra una sola rappresentazione, ma a Cagliari, agli inizi del diciannovesimo secolo - Cecchina o La buona figliola, dramma giocoso di Nicola Piccinni...

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